

Ogni psicoterapeuta di esperienza sa bene che, per aiutare le persone che praticano autolesionismo a scopi non suicidari, ad esempio tagliandosi e bruciandosi, è necessario comprendere i pensieri e i sentimenti che li conducono a farsi del male, oltre che la loro storia. In questo articolo vi propongo alcune cose da sapere su questo fenomeno psicologico, traendo spunto sia dalla mia personale esperienza clinica, sia da fonti scientifiche.
#1 L’autolesionismo ricorre tipicamente tra i più giovani ed è una cosa difficile da superare da soli

#2 Il disgusto verso se stessi potrebbe essere all’origine degli atti autolesivi
In una recente ricerca la psicologa Noelle Smith e i suoi colleghi della Southern Methodist University di Dallas si sono chiesti se depressione e abusi aumentino il rischio di autolesionismo perché portano le persone a provare disgusto verso se stesse (Smith et al., 2015). Secondo i ricercatori infatti il disgusto di sé può innescare emotivamente il desiderio di farsi del male.
#3 L’autolesionismo allevia i sentimenti di vergogna ma allo stesso tempo provoca disgusto verso di se
Nello studio di Smith è anche emerso che i livelli di disgusto per se stessi erano più alti tra gli studenti che nell’ultimo anno erano stati autolesionisti. Essi erano proprio quegli stessi studenti che segnalavano nella loro vita sia sintomi di depressione che una storia di abusi fisici o sessuali. Tuttavia, è anche emerso che la depressione non era più statisticamente legata all'autolesionismo se si prendeva in considerazione il disgusto di sé come variabile di riferimento. E questo sta a significare che il disgusto di sé potrebbe essere la chiave del legame tra depressione e autolesionismo.
# 4 Per aiutare coloro che soffrono di autolesionismo è fondamentale mostrare loro un atteggiamento di “ascolto rispettoso”
La natura dello studio di Smith naturalmente non aiuta a chiarire se sia il disgusto verso se stessi a contribuire a comportamenti autolesionistici o se, piuttosto, non sia vero il contrario. Ma forse porsi questa domanda è un po' come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. La psicoanalisi, infatti, da tempo sottolinea che la nostra mente ha una natura dinamica. Questo vuol dire che, prima di chiedersi se la vergogna causi gli atti autolesivi (o il contrario), dovremmo chiederci quale sia il contesto in cui si verifica sia l’autolesionismo sia il disgusto verso se stessi: in quale fase della vita vengono vissute queste esperienze? Quali equilibri interni si sono spezzati in questo drammatico momento? Quali, e di che tipo, sono le relazioni interpersonali che stabilisce la persona che pratica l’autolesionismo e che vive un profondo senso di autocritica? Il rapporto tra vergogna e autolesionismo, quindi, è senz’altro un elemento fondamentale di questa forma di disagio psicologico. Quello che però si diversifica da una persona ad un'altra è il legame di significato (la dinamica interiore) tra disgusto verso se stessi, autolesionismo e contesto esistenziale in cui queste esperienze si vivono. Per fare un esempio, è del tutto diversa la vergogna che prova un adolescente che si taglia perché ha bisogno di attirare le attenzioni degli altri, da quella che prova un adolescente che si taglia perché le relazioni con gli altri le vive come cose difficili (e da evitare). In un caso ci si vergogna di quanto ci si senta influenzati dagli altri e l’autolesionismo diventa un gesto estremo di autoaffermazione. Nell’altro, invece, la vergogna fa da controcanto al senso di rabbia verso di sé, al bisogno di punire se stessi (e di stare lontano da coloro che fanno soffrire).